Con il tema della XLVII Giornata Mondiale della Pace, la prima di Papa Francesco, vengono ripresi molti temi proposti nella Evangelii Gaudium.
di Paolo Colombo – 16/12/2013 – http://www.aclimilano.it
Il messaggio per la prossima Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2014) scritto da Papa Francesco costituisce un altro tassello del suo magistero “ordinario”, che va ad aggiungersi ai molti interventi svolti in questi mesi e non da ultimo all’Esortazione apostolica Evangelii gaudium resa pubblica lo scorso 24 novembre.L’idea di fondo del Papa è chiarissima: la chiesa deve uscire da se stessa (Evangelii gaudium, nn. 20ss.), dai propri schemi e dalle proprie abitudini, per muoversi all’incontro di ogni persona, di ogni uomo e donna del nostro tempo, per portare l’annuncio del Vangelo che è annuncio di una vita piena, riuscita, in una parola degna di essere vissuta. Non diversamente è espresso nell’imperativo “evangelizzare le periferie”: non si tratta solo di questione geografica, ma prima di tutto spirituale e culturale. Troppo spesso si ragiona secondo una logica centralistica, che è poi sinonimo di logica incentrata sul potere, incluso quello della stessa chiesa. Porre in primo piano le periferie significa viceversa riconoscere che tutti – grandi o piccoli, ricchi o poveri, famosi o sconosciuti – siamo sul medesimo piano, in quanto portatori della medesima dignità di figli di Dio. Semmai con una esplicita preferenza della chiesa verso gli ultimi, perché questa è la preferenza proclamata di Dio (cf. Evangelii gaudium, nn. 197ss.).
Di nuovo questo è il filo conduttore del messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace. Fondamento e via per la pace è la fraternità, cioè quel sentimento – non sensazione vaga, intimistica, ma prospettiva forte che innerva le decisioni e le azioni – che ci pone in rapporto strettissimo con ogni persona umana. «Infatti la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale» (Messaggio per la XLVIIa Giornata Mondiale della Pace, n. 1). La mentalità contemporanea, incline all’individualismo e all’egoismo, tende a dimenticare questo dato basilare, insinuando nell’uomo il pensiero dell’autosufficienza, quasi potesse sussistere in base alle proprie sole risorse. Ecco l’idolatria del denaro, inteso come strumento di (quasi)-onnipotenza. Ma la struttura umana non è questa, implicando invece un forte legame personale e quindi sociale tra le persone e tra i gruppi.
Quella di Papa Bergoglio è una lettura antropologica che diventa immediatamente lettura socio-economica. Nel contesto odierno, specie nei Paesi più avanzati, non è eccessivo parlare di «“globalizzazione dell’indifferenza”, che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi» (Messaggio, n. 1). E’ a tale abitudine che dobbiamo reagire, come il Papa stesso ha più volte sottolineato e testimoniato personalmente, ad esempio nella sua visita a Lampedusa di fronte alla morte sconvolgente di tanti disperati del mare, ovvero commentando la vicenda di un senzatetto scomparso qualche giorno fa a Roma tra l’apparente indifferenza di tutti.
Dobbiamo reagire alla “mentalità dello scarto”, che divide la società tra coloro che contano – tanto o poco, meno importa – e quanti non contano nulla. «Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”» (Messaggio, n. 1; cf. Evangelii gaudium, nn. 53ss.). E poco oltre: «Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di un unico stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono “vite di scarto”. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno» (Messaggio, n. 3). Tutto ciò ha conseguenze immediate sulla ricerca della pace, precisando anzitutto che questa o sarà di tutti, o non sarà. La pace è un bene indivisibile: non si può pensare a un regime di pace per alcune persone soltanto o per alcuni popoli a scapito di altri. La pace è un bene che deve coinvolgere tutti, muovendo verso un nuovo umanesimo capace di rispetto e di comune partecipazione.
Di qui l’ulteriore monito ad efficaci riforme in campo economico: non può esistere vera pace finché il mondo e la società saranno divisi tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, tra chi vive nel lusso e chi muore di fame. Occorre quindi denunciare la corruzione e la sfrenata speculazione finanziaria (a sua volta corruttrice, sia della mentalità delle persone che della convivenza sociale), per individuare modelli di sviluppo capaci di promuovere equità e non da ultimo di salvaguardare il creato, dono nobilissimo fatto all’uomo non perché questi lo strumentalizzi, ma perché viva in armonia con tutto ciò che lo circonda.
Saranno le donne e gli uomini del nostro tempo capaci di decisi passi verso la pace? Il Papa si augura senz’altro di sì. Molto dipenderà dalle scelte dei governanti; ma molto dipenderà anche dalle modalità di vita di ciascuno di noi. «Infine, vi è un modo di promuovere la fraternità – e così sconfiggere la povertà – che dev’essere alla base di tutti gli altri. E’ il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri» (Messaggio, n. 5). Le parole del Papa non sono parole “in generale”, ma toccano le responsabilità di tutti e di ciascuno; a tutti e a ciascuno di raccoglierle e tradurle in vita vissuta.