Sabato 5 maggio insieme a 43 adulti del gruppo di Azione Cattolica e del circolo Acli del Decanato, ho avuto l’opportunità di conoscere meglio una realtà quale quella del carcere di Bollate. In realtà c’ero già stato cinque anni prima, quando le sue porte si erano aperte al pubblico in occasione di una giornata particolare chiamata “Carcere aperto”. Allora, accompagnati da un’educatrice, avevamo potuto vedere i padiglioni, lunghi corridoi con muri colorati, scritte, dipinti, con le celle aperte, i detenuti che liberamente passeggiavano… Già questo fatto mi aveva impressionato… “Bollate”, mi domandavo,”che carcere era?”.
Un carcere speciale, diverso dagli altri, da quelli che avevo visto in tv? La risposta mi fu data dall’educatrice che disse che tutte le carceri italiane avrebbero dovuto essere Bollate, cioè un carcere che doveva tendere alla rieducazione del condannato, il quale doveva scontare giustamente una pena per aver commesso un reato, ma che avrebbe avuto l’opportunità di trascorrere il tempo non inutilmente, ma attraverso attività che lo avrebbero aiutato reinserirsi in futuro nella società. E così avevamo potuto vedere con i nostri occhi alcuni laboratori: falegnameria, maneggio dei cavalli, calcio, teatro, ristorazione, biblioteca, coltivazione in serra di piante e fiori, e poi la scuola, per ottenere la licenza media o un diploma, per citarne diversi… Bollate era ed èancora oggi questo! Questa volta mi aspettavo , a distanza di cinque anni, di rivivere la stessa esperienza, ma non è stato così! Abbiamo potuto incontrare direttamente, attraverso il Dott. Bezzi, responsabile dell’ “Area Trattamentale” che si occupa di ascoltare e condurre i detenuti e le detenute in un percorso riabilitativo, alcuni giovani e una signora del reparto femminile: tutti hanno commesso dei reati, dallo spaccio di droga, uno dei più comuni a quello più grave di omicidio. Ascoltavo la loro testimonianza insieme a tutti gli altri, osservavo attentamente i loro volti e anche quelli del nostro gruppo di visitatori… è stato un forte momento emotivo; pensavo al dolore che avevano procurato alle loro vittime, alla sofferenza interiore e al cammino di recupero, anche lungo nel tempo che dovevano fare… Poi le tante domande che gli abbiamo posto: il rapporto con Dio, con la propria famiglia, con quella delle vittime… Tutti hanno ammesso che la giustizia deve fare il suo corso, ma che ad un condannato va data un’opportunità, quella di riabilitarsi. In ogni caso la loro coscienza ormai si porterà dentro quanto commesso! Alla fine ci siamo salutati calorosamente, alcuni di noi poi si sono fermati a pranzo. Uscendo da quelle mura grigie ed alte pensavo a quanta umanità trapelasse lì dentro… Se tutte le carceri italiane fossero come quelle di Bollate, il rischio di ricommettere dei reati e di ritornare in carcere sarebbe veramente basso! No alla pena di morte, mi sento di pronunciare con forza, sapendo che dentro di noi uomini subito prevale un sentimento impulsivo ed irrazionale di vendetta, Sì invece alla possibilità di recupero della persona che ha commesso un reato , dopo aver scontato una giusta pena.
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